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DOPO LA SENTENZA DI PERUGIA / La giustizia in curva South

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6 dicembre 2009

Sentenza esemplare, bravi i giudici del tribunale di Perugia. Sentenza discutibile, non suffragata da prove, al termine di un processo indiziario, pessimi i giudici. Basta leggere i giornali e i siti d'informazione inglesi e statunitensi per avere visioni agli antipodi della condanna rispettivamente a 26 e 25 anni dell'americana Amanda Knox e dell'italiano Raffaele Sollecito per l'omicidio della giovane studentessa londinese Meredith Kercher. Di qua e di là dell'Oceano il senso della giustizia dev'essere diametralmente opposto. O semplicemente molto partigiano. I connazionali della giovane condannata sparano ad alzo zero sulla corte di Perugia, quelli della vittima la elogiano come modello di efficienza. Dove sta la verità? Da un lato, dall'altro, in mezzo? Una corte si è pronunciata e a quello bisogna attenersi. Fatto salvo il diritto di tutti a criticare le sentenze, tutte le sentenze, ma con toni civili. Sorprende che i maestri del diritto, della giustizia e dell'informazione impieghino un attimo a mettere da parte le secolari prediche sulle garanzie e si buttino nella polemica con toni da curva da stadio. Verrebbe da ricordare ai giornali americani che dal 1973 ad oggi, negli Stati Uniti, sono state mandate nel braccio della morte 129 persone poi rilasciate perché innocenti o non colpevoli del reato contestato. In cinque casi conclamati sono stati giustiziati innocenti. Ci era piaciuto molto di più il New York Times quando, all'inizio del processo, sollecitava la giustizia italiana ad arrivare al giudizio in tempi rapidi e a non costringere una famiglia dell'America profonda a viaggi interminabili e a lunghi soggiorni in un paese straniero per vedere la figlia sottoposta al calvario di un giudizio interminabile. Quello sì intollerabile.

6 dicembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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